Capovolti compie dieci anni: mettere al centro le persone e la buona economia

di Andrea Pellegrino

Capovolti Cooperativa Sociale compie dieci anni e lo fa con un evento d’eccezione che si terrà lunedì 11 novembre al Complesso Monumentale di Santa Sofia. Ospiti del mondo della cooperazione salernitana, regionale e nazionale per festeggiare la Cooperativa che in questi anni ha dato un deciso impulso all’innovazione nell’ambito dei servizi alle persone con disabilità mentale e all’Agricoltura Sociale. 

Francesco Napoli, Presidente di Capovolti, come racconterebbe questi dieci anni a chi non conosce la vostra cooperativa? Capovolti nasce nel 2014 dalla tenacia e dal coraggio di un gruppo di persone professioniste dell’ambito psicosociale ed economico e da un gruppo di familiari e persone con disabilità mentale che cercavano per i loro cari un luogo di autodeterminazione, dignità di vita e lavoro. Grazie a loro e al sostegno di Fondazione CON IL SUD è nato Progetto Capovolti nel 2012 e la nostra cooperativa qualche anno dopo. In questo tempo abbiamo cercato di mantenere fede all’identità che è nel nostro nome: capovolgere lo sguardo arcigno e stigmatizzante nei confronti delle persone con disabilità mentale e capovolgere le leggi del profitto, della cultura dominante che ci vuole tutti uguali, consumatori prima che persone, che ci discrimina e ci esclude per le nostre fragilità. In questo tempo abbiamo costruito luoghi di benessere e di bellezza, servizi innovativi dove il percorso di riabilitazione si coniuga con l’istruzione, la formazione ed il lavoro e dove al centro ci sono i desideri, le aspettative, le passioni e le motivazioni di ogni persona nella sua originalità.

Come ha visto cambiare la società e la cooperazione locale in questi anni? Ho visto un avanzamento nell’approccio alla salute mentale, nella gestione e organizzazione dei servizi a partire da strumenti nuovi come il budget di salute che è stato parte di un confronto ostinato e costante in questi anni con le istituzioni di riferimento. Oggi questo strumento può davvero consentirci di attivare processi di accompagnamento concreto, superando la logica della mera assistenza, dello spacchettamento degli interventi e lo sperpero di risorse per attuare un modello integrato che mette al centro la persona e che non guardi a questa solo come “malata” e fragile, ma anche portatrice di risorse. Anche la cooperazione locale si è molto evoluta nei modelli e negli strumenti provando a misurarsi alla pari con gli interlocutori istituzionali assumendosi anche la responsabilità di essere protagonista del processo di programmazione e costruzione delle pratiche di presa in carico. Molto ancora resta da fare, penso al tema della dipendenza dall’ente pubblico per quanto riguarda la sostenibilità di molta parte del mondo della cooperazione sociale. Questa dipendenza non aiuta una relazione paritaria con le istituzioni e la politica e non aiuta lo sviluppo di una buona economia sociale. 

Siete anche una piccola azienda che produce e commercializza eccellenze agroalimentari, come si coniuga questo con l’accompagnamento di persone e famiglie con fragilità?

Capovolti è anche una piccola Impresa Sociale che coltiva terreni e produce olio e trasformati dell’orto che arrivano in tutta Italia e talvolta anche oltre confine. Promuoviamo questi prodotti non solo come parte di interventi di inserimento lavorativo di persone fragili, ma come eccellenze del territorio. La cooperazione, credo, debba sentirsi consapevole del ruolo economico che riveste, pensarsi come un player di mercato, assumendosi il rischio d’impresa e promuovendo i propri prodotti educando chi acquista a condividere questa responsabilità sociale a partire non solo dalla logica del dono, quanto dalla scelta di un prodotto di alta qualità con un valore aggiunto. Al piano commerciale, si accompagna il lavoro di comunità con le scuole e le associazioni nell’ambito dell’educazione alle sane relazioni, alla sana alimentazione e la valorizzazione del territorio anche in chiave di turismo enogastronomico. Si può dunque coniugare la logica dell’impresa, del reddito e non del profitto, con uno sviluppo sostenibile che guarda al territorio. Mi piace pensare che dove arriva una cooperativa sociale, arrivi una sentinella di legalità, di innovazione e di buona economia che genera un indotto di sviluppo sociale ed economico. Questo è quello che abbiamo provato a fare nel nostro piccolo. I risultati sono nei numeri dell’indotto che produciamo con la nostra impresa sociale, degli inserimenti lavorativi fatti in questi anni, delle persone accolte nei nostri servizi e dei dipendenti che vivono la nostra realtà. 

Quale è stata la relazione con la politica? Quale può essere il ruolo della politica e della cooperazione nello scenario attuale e futuro?

Fin da subito abbiamo raccolto la sfida di prendere parola sul piano politico, schierandoci quando necessario, nella vita quotidiana della relazione con enti e istituzioni come su temi di carattere generale. Sono persuaso che la cooperazione sociale debba rivendicare la propria funzione politica, non solo di categoria. Questo significa da un lato fare del proprio meglio per erogare servizi di alta qualità e professionalità e dall’altro pretendere dalla politica scelte concrete nella direzione della giustizia sociale, dell’equità, dei diritti sociali e civili, della correttezza nell’uso del denaro pubblico. Credo che la cooperazione sociale debba sempre più ritrovare la propria funzione di corpo intermedio, che sia da pungolo per la politica e le amministrazioni e da riferimento per la comunità locale, che sia protagonista del dibattito pubblico con proposte e con competenza, che non tema di farsi nemici e che non sia vittima e promotrice inconsapevole di logiche feudali. Più che abitare i luoghi rischiamo talvolta di costruire fortini, alimentando quella logica coloniale, patriarcale e performativa che invece dovremmo contrastare. L’arroganza e la tracotanza di una certa politica, e non solo, una visione semplicistica dei fenomeni, la divisione del mondo e delle comunità in categorie, le logiche esasperate del profitto e del mercato, ne sono aspetti concreti come lo sono le scelte amministrative orientate alla ricerca del consenso immediato e non ad una prospettiva di senso e lungo periodo; una politica che deroga alla propria funzione educativa e culturale nei confronti delle comunità, che ne asseconda la “pancia” con il contentino del momento. Il risultato di tutto questo sono comunità sempre più povere: giovani che scappano, anziani sempre più soli, bullismo e abbandono scolastico che dilagano, disparità di accesso al reddito ed ai servizi essenziali, periferie sempre più lontane, esclusioni e razzismi mascherati dal perbenismo, violenze e gerarchie fondate sul genere, sulla razza, sul reddito. La cooperazione sociale può essere protagonista di una nuova stagione di dibattito pubblico e di proposta sui temi della giustizia sociale e delle disparità di classe.

Ci lascia uno spaccato personale su questa storia che dura da dieci anni? Quali sono le prospettive di questa cooperativa e le sue personali?

Il primo sentimento è certamente quello della gratitudine per le persone con cui ho avuto il privilegio di realizzare tutto questo e quelle che ho incontrato lungo il cammino; gratitudine per la crescita umana e professionale che Capovolti mi ha consentito. Abbiamo fatto insieme molti sacrifici ed abbiamo attraversato molte storie di sofferenza, dolore e solitudine in quella logica della compagnia che credo sia un aspetto essenziale del nostro lavoro: pensarsi come qualcuno che si mette accanto e che costruisce uno spazio di riabilitazione, socializzazione e autodeterminazione che possa essere abitato con protagonismo ed originalità da chiunque. Abbiamo molti progetti in cantieri, uno su tutti l’apertura dell’EcoParco CoMeta, uno spazio abbandonato che restituiamo alla comunità di Montecorvino Pugliano e dove già da alcuni anni attiviamo percorsi di inserimento formativo e lavorativo. Per quel che mi riguarda, ho sempre rifuggito il pericolo di pensare Capovolti come il mio spazio identitario e personalistico. La passione e la motivazione che muove le persone cooperatrici è fatta certamente di sentimenti di legame identitario fondamentali, ma che talvolta si sclerotizzano e rendono difficile immaginarsi oltre questa dimensione, con risultati catastrofici per se e per la propria comunità cooperativa. Resto quindi aperto a nuove sfide ed a quello che mi riserverà il futuro.

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