di Giuseppe Vallecaro
Cara Salerno,
è difficile scrivere una lettera alla propria città. In genere il destinatario a cui ci si rivolge quando si scrive è una persona di cui più o meno si conoscono connotati, stati d’animo, carattere. Si utilizza questo mezzo per comunicare quelle cose che non si riescono ad esprimere a voce. Certo oggi ci sono i contemporanei mezzi di comunicazione che, specie nei più giovani, hanno fatto dimenticare il sapore di mettere una penna su un foglio bianco ed esprimere ciò che si pensa. Io ne ho scritte di lettere ma, una lettera alla mia città, non ho mai avuto modo neanche di pensarla. Quindi da dove iniziare? Da dove partire per raccontarti com’è vivere qui? Quando ero piccolo ti amavo molto, ma ti conoscevo poco. Ti guardavo come si guarda un peluche nuovo da bambini; eri lì e io giocavo. Ero con la mia famiglia, i miei amici e non potevo mai vedere le crepe, i rattoppi, le cuciture, le cicatrici che portavi. Eri sempre bella, con il sole, con la pioggia, ma io giocavo. Era questo ciò che i bambini facevano, almeno all’epoca, fuori casa, all’aria aperta, mentre oggi non lo so se giocano ancora. Ne vedo pochi nei parchetti e molti sulle panchine con il telefono cellulare in mano e lo scivolo e l’altalena che li aspettano…ma restano vuoti. Io spero di rivederli ancora come quando io ero bambino e spero di rivederti, cara Salerno, risplendere come un tempo e non violentata più da cemento, incuria, disordine. Grazie Salerno, non deludere e non far deludere un tuo figlio.