La scelta della Puffin Books su Roald Dahl uccide il diritto d’integrità
di Gianluca Adesso
Negli ultimi anni in ogni ambito sociale si è diffuso il pensiero del “politically correct”, ossia quella necessità di limitare o addirittura eliminare ogni termine e/o atteggiamento che può risultare offensivo nei confronti di una determinata categoria. Sicuramente questo pensiero ha influito non poco nella rilevanza di lotte sociali importanti. Al tempo stesso, però, è innegabile come fin troppo spesso ci si spinga talmente tanto nel “corretto” da risultare indigesti. È proprio questo il caso del nuovo adattamento dei romanzi dello scrittore britannico Roald Dahl, autore di libri per l’infanzia, conosciuto globalmente per opere quali “La fabbrica di cioccolato” e “Le Streghe”. Dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1990, a beneficiare dei diritti di tutti i suoi scritti e a tutelarne gli interessi sono stati i familiari, che nel 2017 hanno fondato, insieme alla piattaforma digitale Netflix, la Roald Dahl Story Company. La nota società di distribuzione streaming ha poi acquisito nel 2021 tutti i diritti e la totalità dell’azienda, con la conseguente libertà di decidere degli adattamenti delle opere di Dahl. Fra questi rientrano quelli compiuti di recente dalla casa editrice Puffin Books: le modifiche effettuate, infatti, sono quanto di più vicino possibile alla censura. In nome del politicamente corretto, la Puffin ha deciso di modificare termini ed espressioni usati dall’autore considerati troppo “scorretti”. Si potrebbe pensare che non ci sia nulla di male in questo, ma in realtà l’edulcorazione applicata va ben oltre i limiti del sopportabile: è stato eliminato il termine “brutto” perché ritenuto eccessivamente sconveniente, sono stati modificati termini ritenuti “sessisti” nei confronti di personaggi femminili, “madre” e “padre” sono stati sostituiti dal più generico “genitori” e via discorrendo. Non solo sostituzione di parole, però: a farne le spese sono stati interi frammenti di capitoli, come nel dialogo sulle parrucche fra nonna e nipote in “Le Streghe”, in cui le modifiche apportate, al fine di seguire un pensiero “perbenista”, hanno di fatto introdotto concetti che l’autore originale non ha mai inserito, né espresso. Come è facilmente intuibile, sono in tanti ad aver pronunciato il loro dissenso, fra tutti altri scrittori che da sempre si battono contro la censura. Perché, non c’è altro modo per dirlo, di censura si sta parlando. Modificare i termini di un’opera passata per adattarli al periodo storico che oggi viviamo, senza tenere però conto del contesto in cui essi sono stati scritti, è a tutti gli effetti un danno all’integrità originale dell’opera. Integrità morale che però, secondo la legge anglosassone e diversamente da quanto accade in Italia, può essere trattata in caso di vendita dei diritti. Ed è probabilmente questo il caso che vede protagonista Netflix, ora libera non solo di pubblicare, ma anche di adattare come vuole ogni opera di Roald Dahl, che – ahinoi – non può difendere l’integrità morale dei suoi scritti e che si vedrà a conti fatti attribuita un’opera non davvero sua poiché rimaneggiata da altri. Bisognerebbe in questi casi fermarci a riflettere e pensare se, nel tentativo di proteggere quante più categorie di persone possibili, non stiamo invece danneggiando opere e messaggi che di fondo non hanno nulla di sbagliato. Del resto, come ricorda il matematico e filosofo britannico Alfred North Whitehead: “L’errore è pensare alle parole come entità. Dipendono per la loro forza, e anche per il loro significato, da associazioni emotive e sfumature storiche, e derivano gran parte del loro effetto dall’impatto dell’intero passaggio in cui si verificano.”.
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