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Referendum, Danilo Riccio: “Sul quorum ho qualche perplessità. I cittadini informati superficialmente”

di Fabio Croce

L’appuntamento referendario del 12 Giugno si avvicina e, oltre le varie posizioni politiche, affrontiamo le tematiche in questione dal punto di vista degli addetti ai lavori. Ne discutiamo con l’Avvocato penalista, Danilo Riccio, già assistente alla Cattedra di Ordinamento Giudiziario presso la II Università di Napoli, socio dell’Associazione LA.P.E.C (laboratorio permanente esame e controesame), il cui Presidente Nazionale è il Dottor Renato Bricchetti, Presidente di Sezione presso la Suprema Corte di Cassazione; mentre, il Segretario Nazionale è il salernitano, noto penalista, Avv. Giovanni Sofia. l’Avvocato Riccio illustra le sue considerazioni sui quesiti referendari, non attraverso un’analisi complessiva, ma entrando nel merito di ogni singolo quesito.

Avvocato Riccio, in merito ai quesiti referendari del prossimo 12 Giugno, si alternano le varie posizioni delle forze politiche, ma non quelle degli addetti ai lavori. Da penalista, con esperienza ultradecennale, come vive quest’appuntamento elettorale?

Con grande senso di responsabilità andrò a votare, ricordando sempre che l’espressione di voto è manifestazione profonda del “dovere civico” inteso dalla nostra Costituzione all’art. 48: una opportunità ricorrente per il cittadino. Per quanto riguarda il referendum del prossimo 12 Giugno, ad un dialogo di appartenenza, vorrei che si preferisse il mio personalissimo, mai dimentico di essere avvocato penalista. Nutro delle perplessità in merito al raggiungimento del quorum, anche perché larga parte, se non la totalità, delle questioni sintetizzate dai quesiti referendari sono complessivamente tecniche, con il rischio che il cittadino comune sia informato soltanto in maniera sintetica o superficiale. Con il ricorso allo strumento di democrazia diretta, su un argomento così delicato come la giustizia, credo sia ai più evidente, e non solo agli addetti ai lavori, l’indebolimento, se non il crollo, della democrazia rappresentativa a favore della referendaria sui grandi temi, e la giustizia, nei suoi molteplici versi, non può essere esclusa o meno attenzionata per via parlamentare.

Andando nello specifico dei quesiti, qual è la sua opinione?

Il quesito sulla limitazione delle misure cautelari, quello che per intenderci sarà presente sulla scheda arancione coinvolge uno degli istituti della giustizia penale di maggiore impatto, sia sul piano delle conseguenze per la libertà personale che per i suoi riflessi mediatici: le misure cautelari, in particolare quelle personali. I promotori puntano all’abrogazione parziale dell’art. 274, co. 1, lett. C, del codice di procedura penale, incidente sulla c.d. esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato. Un giudice, in pratica, salvo poche eccezioni, non potrebbe disporre la custodia cautelare in carcere per reati allarmanti come, solo per fare un esempio, l’omicidio o la violenza sessuale. Io credo bisognerebbe salvaguardare, in capo al giudice, più il momento di valutazione della prova, che la perdita di elementi di prova seri, capaci di gettar luce su una futura condanna, di qui acclamando l’annoso e scottante tema delle ingiuste detenzioni. Credo che possa essere riduttivo, se non disastroso, anche per la tenuta del sistema, affidare la vitalità di una specificità procedimentale a un possibile sbocco referendario.

In merito alla scheda gialla, il quesito inerente la questione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, punta ad abrogare la disciplina legislativa di ordinamento giudiziario che consente ai magistrati di poter passare dalla funzione requirente a quella giudicante, e viceversa.

I primi corrispondono ai pubblici ministeri, quindi coloro che rappresentano l’accusa, mentre i secondi svolgono la funzione giudicante. I magistrati, durante la propria carriera, possono decidere di cambiare funzione, passando da giudice a P.M., e oggi, prima dell’esito referendario, per un numero massimo di quattro volte. Si punta, in sostanza, ad avere “soli” il magistrato del pubblico ministero, espressione cara al prof. Dalia, e il magistrato del giudizio, di merito o di legittimità, senza possibilità di migrazione dell’uno all’altra funzione. I magistrati, come recita l’articolo 107 della Costituzione, si distinguono solo per diversità di funzioni, dunque, la magistratura è unitaria, e deve tenersi tale, anche se possibilità di sbarramenti, a fronte di professionalità tendenzialmente diverse, siano pensabili e possibili per legge, come è nelle intenzioni del ministro Cartabia. Di conseguenza, anche su questo punto, sono perplesso che una tematica tale possa essere oggetto di referendum e non di una attenzione partecipata del parlamento.

Anche il quesito che riguarda la valutazione dei magistrati, per intenderci la scheda grigia, può essere ritenuto squisitamente tecnico?

Certo. Il quesito punta all’ammissibilità della componente non togata a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari. Le valutazioni dei magistrati, allo stato attuale, sono una peculiarità del Consiglio direttivo e dei Consigli giudiziari, che sono, a loro volta, organi a composizione mista. A questi componenti togati si aggiungerebbero, nelle intenzioni dei promotori, anche avvocati e professori universitari, in qualità di membri laici. Io sono dell’idea che se spetti principalmente ai magistrati l’onere di valutarsi, l’inclusione della componente non togata, e nello specifico degli avvocati, possa migliorare il sistema di valutazione. Per quanto riguarda, invece, il quesito in oggetto alla scheda verde, riguardante l’elezione dei membri togati del CSM, nonostante sia anch’essa una questione tecnica, credo che contenga una maggiore profondità valoriale. Attualmente, la candidatura di un magistrato al CSM è subordinata alla sottoscrizione di un minimo di 25 firme a un massimo di 50 firme di colleghi “presentatori”. Eliminando questo meccanismo, si crede poter inibire dinamiche correntizie e, in tal senso, la mia posizione, diversamente dagli altri quesiti, apparirebbe più in sintonia con quella dei promotori. Certo, le correnti sopravviveranno, anche se l’esito referendario non sarà promosso dal voto, ma l’indice di demonizzazione deve poter dar spazio a una inversione di tendenza propriamente culturale: l’idea che il magistrato ambisca a ruoli direttivi per il suo valore, per i suoi titoli, e non per l’appartenenza a un gruppo.

L’ultimo quesito, scheda rossa, è probabilmente quello più mediatico, quello per intenderci legato alla Legge Severino. Su questo punto, qual è la sua posizione?

È probabilmente il quesito dove la mia posizione è più netta e decisa: sono contrario e voterò no. Non sono favorevole a un’abolizione integrale della legge Severino, legge severa e, forse, controversa. Ritengo che l’Etica pubblica – in uno alla previsione di requisiti di onorabilità degli eletti, nonché della trasparenza e dell’immagine dell’amministrazione, nel solco di un indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale ormai consolidato, richiamerei qui la sentenza n. 35 del 2021 –, poco frequentata in questi ultimi anni dai nostri rappresentanti politici, sia imprescindibile, prima ancora di discutere d’una condanna, anche solo in primo grado, per reati gravissimi, e non solo contro la P.A., che dia linfa all’istituto della incandidabilità e, dunque, della decadenza dalla carica elettiva. Credo, in ultima analisi, che il binomio “politica/giustizia” sia commisurabile, ancora una volta, alle attitudini proprie dell’emiciclo parlamentare, con i suoi orchestrali.

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